per comperare del dentifricio con tre strisce colorate,
della cioccolata al riso soffiato
e il primo alcolico con cui sono venuto a contatto,
nell'estate del 1993.
E' buonissimo.
Ha il sapore che aveva il mondo quando ancora esisteva la magia.
Ora è rimasta la musica.
Non è poca cosa, ma neppure lo stesso.
Mi manchi, Katy.
dove il professore bacchettone punisce il bambino.
"Scriverai molte e molte volte: - Non insozzerò i muri della scuola".
Oggi penso che un muro abbia un'aspettativa di vita comparabile con la mia.
E possa essere bello e toccante intarsiarlo di nero, instaurare
guerre surreali di parole e proclami a distanza.
Se il tempo è vano, la tristezza è vana ed è vana anche la storia,
che possa almeno lasciare me stesso in un pezzo di intonaco o cartongesso.
Il giovane Malpelo si sveglia di soprassalto, colto dalla penetrante angoscia
di non aver portato a termine i suoi compiti. Si porta appresso, per tutto il dì,
un grosso marchio di colpa sotto gli occhi. Eppure nessuno se ne accorge.
Malpelo scopre tra le sue carte la scommessa. Comincia a chiedersi quanto dolore
possa arrecare al mondo senza sollevare proteste, e quanto ne possa tollerare.
Molto, moltissimo, per nulla, nel Tuo nome o in quello di Dio - cambierà
spesso idea, senza mai essere interrogato a riguardo.
Ho sognato di guardare una VHS - e vi avverto che questa è atroce a confessarsi -
dove un omaccione brutto e corpulento scopava da dietro una ragazza minuta,
semivestita, con un maglione rosso e dei capelli irrealmente neri e lisci.
Ma ad ogni piccolo gemito e ad ogni scossone il viso di lei, gli occhi e la voce,
mutavano impercettibilmente, trasformandola in decine di donnette libidinose,
e infine in nessuna. Uno spettacolo disgustoso ed ammaliante.
Riavvolgo la pellicola - il desiderio di conoscere si pone al di sopra
del misero pudore - anche perché ormai c'è poco da salvaguardare -
e riconosco la prima Lei, il suo volto i suoi occhi e i suoi capelli -
è K. Riconosco anche il maglione, è mio.
Le piace farsi scopare da un energumeno.
Col mio maglione, per giunta.
Che amarezza.
- Modificato il 04.02.11 - 2:33 am -
che sappia contare fino a sette. Non con le dita, s'intende.
Che possa voltarsi in pizzeria e rispondere di scatto alla domanda
"quanti siete?". Che non riesca a trattenere le lacrime davanti
al finale dei quattrocenti colpi di Truffaut. Che sappia parlare schietto,
e cominciare da zero, ogni giorno. Che mi salti alla gola e mi convinca
che c'è una ragione, per tutto.
Ho conosciuto persone che sostenevano di poter contare fino a cinque.
E su questi cinque miseri pilastri hanno imbastito compromessi geografici,
acrobazie erotiche, fondamenta insondabili, giustificazioni storiche,
matrimoni e draghi cinesi.
Certe volte non andavo a scuola, camminavo per quel paio di chilometri,
raggiungevo la spiaggia, urlavo, scrivevo, piangevo. Avevo l'impressione
di poter strappare un pezzo di cielo di forza viva, ma sapevo contare
a malapena fino a sei.
Ora che forse so contare fino a sette, sono troppo ubriaco.
Provo ripugnanza quasi per tutto, non pensavo che il processo fosse irreversibile
tanto quanto lo sgretolamento di un molare a seguito di una devastante carie.
Mi stringi la mano?
Mi graffi il collo?
Potrai andare oltre
quello che ha fermato me.
sono vecchio. Lo sono diventato senza accorgermene.
Ho assistito alla nascita di un giornale che mi ha privato per lungo tempo
della voglia di scrivere. Ho sognato con frequenza preoccupante il coesistere
dei luoghi, dei tempi, della dolcezza, dei numeri, degli amori.
Da incidere sullo smalto verde delle sbarre del laghetto,
in attesa di essere raccattati dal rassicurante Tutto.
A 26 anni ho già assistito ad una delle peggiori disfatte delle idee
in favore dell'ottusità e dell'immondizia, alla morte di mia madre,
alla dissoluzione del mio talento, alle più atroci e infondate invettive
che un padre possa pronunciare. Provo vergogna, di me stesso, delle mie radici,
del mondo intero, degli abbagli che mi hanno dirottato e delle idiozie
che ho scientemente intrapreso.
Perdonami, padre, se quest'anno non rendo tributo al focolare domestico
ubriacandomi da solo, davanti al televisore, nell'usuale fredda, lugubre
e trasandata dimora abruzzese: ricorda, troppo, una lapide.
E' risaputo, poi, che a noi vecchi non piace viaggiare:
siamo legati alle abitudini e ai soliti quattro amici.
di star qui a sbriciolare, mutilare e sezionare
i momenti feroci e splendidi
che sto vivendo sulle strade, sui binari e tra le pagine.
Sappiate solo che ci sono dentro, integralmente,
fiero di poter recare le mie devastanti paure
al servizio di chiunque.
- Modificato il 26.11.10 - 4:12 am -
Nel sogno siamo vivi, e lottiamo.
Grazie a un poderoso sacrificio d'alfiere
la nostra posizione è tatticamente superiore, la nostra manovra
ha reso la superficie accidentata, riempito di trappole ogni angolo,
già quattro lati del pentagono sono ermeticamente sigillati,
non resta che occultarsi, cancellare ogni traccia,
attendere con famelica ferocia i fuochi d'artificio finali.
Il piano ci conduce nei pressi di una chiesa, forse sconsacrata.
Si sente musica provenire dall'interno. Nulla di raffinato.
Un coro parrocchiale o forse un'orchestrina straniera,
giunta fin qui a caccia di spiccioli, in occasione di una sagra paesana.
Ridiamo, li sbeffeggiamo. Senza pudori. Li abbiamo abbandonati molto tempo fa,
risoluti nel rendere grottesca e patetica la missione dei nostri inseguitori.
La notte più nera è trafitta dallo scintillio dei nostri occhi felini,
che l'alto bavero dei pastrani non può nascondere.
Nell'angolo più remoto della piazzetta ritroviamo degli amici.
Stanno suonando anche loro, ma l'origine della melodia e della ritmica
è nota solo a chi conosce il volto dolce, ispido e fermo del fisarmonicista.
- "Compagno, siamo vicini."
Accovacciata a ridosso di una saracinesca, riconosco Agnese.
Mi gela il sangue, mi ferma il respiro. I vestiti le cadono mollemente addosso.
E' sottile e splendida. Non si muove, ma protende il labbro inferiore
in quella sua unica espressione di gioia universale
che l'affossarsi delle mie rughe può solo grigiamente scimmiottare.
Mi porge una cartina di sigaretta e una bottiglia di rhum.
Il monito è da copione: "Stai contribuendo alla rivoluzione.
Nel momento in cui accetterai questi simboli, non potrai più tornare indietro."
Seguono silenzio e tremori, ma è chiaramente un "sì, lo voglio!",
dato che non siamo dinanzi ad un altare, non sussistono inganni,
casualità, attori coprotagonisti. Mi getto a peso morto sul suo corpicino
e la bacio, consapevole di aver recuperato le redini della mia vita.
La cartina servirà a sigillare il quinto e ultimo lato del pentagono.
Dopo, non vi sarà un dopo.
Il rhum è un regalo per me. L'alcool mi intristisce e mi esalta,
dunque è quanto di meglio serva a farmi sognare ad un volume assordante.
Lo stimolo della sete, poi, è uno dei pochi mezzi utili
a preservare la memoria, conficcandola nella carne, stravolgendo le abitudini.
Così la memoria può essere portata indosso come un marchio indelebile,
doloroso, oggettivo, indiscutibile, esente da revisioni.
Un dato di fatto è che le singolarità sono più frequenti del dovuto.
Se il divin creatore esiste, ha certamente una razionalità finissima,
un senso tattico superiore. E una crudeltà abominevole.
Imperniata sull'incessante sacrificio di certe sue opere in carne:
alcuni di noi, secondo una santa e giusta parzialità.
Tutto sommato, meglio non averci niente a che fare.
Lo immaginate voi, che disumano vantaggio sarebbe
poter intraprendere più scelte esclusive simultaneamente,
poter scegliere di vivere più mondi, conservando la consapevolezza di ognuno,
magari arrestandosi con totale viltà al minimo sottoprodotto negativo?
Forse un'idea letteraria incredibilmente fruttuosa.
Ma ammetto a testa bassa l'olezzo di plagio, avrete di certo già sentito
termini come "Trinità" o "Passione". Vi lascio, al più,
una mirabile sintesi, affermando che il divin creatore,
se esiste, non ci ha certo fabbricati a sua immagine e somiglianza.
Altrimenti non vi sarebbe necessità di marcire in cimiteri di metafore,
seguire con mano piccola e tremante i contorni di dedali logici inestricabili,
avvizzire nell'assedio dell'inespugnabile Valdrada,
e infine farsi saltare in aria per un sogno,
con appena un briciolo d'amore in bocca.
- Modificato il 21.11.10 - 1:43 am -
L'amore per l'esotico, le superfici luccicanti, i ninnoli, i souvenirs,
conoscere nuova gente, nuove abitudini, nuove lingue da ficcarsi in gola
prima o dopo le convenevoli discussioni metereologiche; e poi i treni,
gli autobus, gli aerei, gli orari prestampati e i percorsi di marcia,
la bellezza di avere sacchi della spazzatura gialli, o di farsi sparare
a trenta metri di altezza ripetendo meccanicamente scioglilingua appresi altrove;
poi ancora sciocchezze, sempre e solo sciocchezze, e fierezza incessante
delle sciocchezze.
Sono queste le passioni altrui che mi condurranno diritto, imperioso, alla bara.
Dico io, se il processo di eradicazione è così centrale, tanto vale
strapparsi le vene dei polsi a morsi.
Buonanotte schifoso e viscido mondo di merda, ricorda che non ti appartengo.
- Modificato il 14.11.10 - 9:34 pm -